FemminiciDio / Dialogo in tre stupri

Una satiretta sadiana di Andrea Carloni

Un paese occidentale qualunque di un’epoca qualunque, in una notte invernale su di una stradina sterrata al di fuori di un borgo qualunque. Pressoché poco o nulla all’orizzonte verso i quattro punti cardinali, se non una piana incolta e poche dimore lontane ai pendii dei colli. Nessuna luce se non quella della luna quasi piena, nessun rumore se non quello dei rapaci notturni e delle voci dei personaggi: P. (uomo di mezza età, alto e robusto, di fiera postura) e F. (la sua vittima rapita, fanciulla avvenente e di media statura, appena ventenne). A lei, com’è d’uso, la prima parola. A lui, ne consegue, l’ultima.

credits: Milena Sgambato

Stupro III

P. – (Disteso a guardare la luna di fianco a F., tramortita) Illuso chi cerchi ispirazione o fantasticherie su di un pallido cerchio appeso che non chiede altro di essere inteso per ciò che è: un ammasso girovago di rocce e crateri. Eppure furono molti i poeti a cantarla, interrogarla e  paragonarla alla donna. Non a torto, giacché la Luna, come la donna, non ha nulla da dire a noi e noi altrettanto a lei. Ciascun uomo, prima di conoscere una donna, viveva felice per sé stesso, al riparo da ogni sentimentalismo. Cosa cambia allora averne incontrata una, salvo che essa non sia l’unica al mondo? Cosa comporta perderla, se può essere facilmente rimpiazzata? Nessuna donna può esserci amante o amica, tanto vale disporne, goderne e disfarsene più in fretta possibile. Così hanno operato e operano, secondo usanze ben legittimate a seconda delle latitudini e delle epoche, la società di gran parte dei popoli del mondo. I Romani avevano diritto di vita e morte su di loro. I Cosacchi le relegavano in luoghi appartati ove si recavano a disporre di loro solo allo scopo della riproduzione. I Croati le obbligavano a giacere in terra di notte e a lavorare da malate e gravide di giorno. Nei sultanati africani le donne preferivano uccidersi piuttosto che sostenere i supplizi nel serraglio del principe. In decine di paesi del medioriente i loro genitali vengono mutilati  con infibulazione per essere accettate dalla stessa comunità che alla più lieve disobbedienza le condanna alla fustigazione e alla lapidazione. Dunque non conviene far di voi degli idoli: ci basta fingere di adorarvi fintanto che sarete oggetti del nostro desiderio, per poi respingervi una volta che il desiderio è appagato. Se non sussiste democrazia alcuna fra i sessi in natura, folle sarebbe affannarsi a imporre una parità fra gli umani. Alla natura occorre solo una distinzione sostanziale, maschio e femmina, per sprigionare l’immensa pluralità di corpi che popolano il pianeta. Voi invece tentate di ravvivare la monotonia del vostro pensiero inventando una pluralità di sessi che non sussiste. Da nudi si è sempre o maschi o femmine: il resto è inutile sovrastruttura. Incredibile quando vi affanniate a resocontare i vizi dell’umanità, predicando virtù salvifiche da estendere a una collettività che non vi somiglia. Desistete piuttosto, non affannatevi; con o senza di voi, il mondo sta bene così com’è. Sotto il suo grande disegno, ogni virtù passata e futura non lascia traccia alcuna nella natura. Questa agisce solo per corruzione e se corrompe tramite il vizio di un despota, ebbene anche quel vizio rappresenterà la sua legge. Dove l’uomo distrugge, la natura assolve il suo piano. Vacuo pregiudizio siano la compassione, il rispetto, l’empatia e l’amore, che non fanno altro che indebolire il carattere dell’uomo. Solo per quegli specifici bisogni per cui ci occorrete, non significa che dobbiate essere anche adorate, o lo stesso trattamento dovremmo riservare ai cani, al cibo, alle latrine. Amore è la forma leziosa battuta sul caldo metallo del godimento: finché godiamo, utile è la donna e non il suo culto; dopo aver goduto, inutile diviene la prima e impossibile il secondo. Il vostro eclettismo nel proporre modelli familiari sempre più estrosi e fittizi, vi sottrae la perspicacia necessaria ad ammettere che è l’idea di famiglia in sé da condannare, in qualunque sua manifestazione; non esiste istituzione sociale più deleteria e criminale che riesca a minare l’emancipazione e il piacere di ogni suo disgraziato componente. Iniqua ogni fratellanza, falsa ogni solidarietà. Affinché la felicità dell’individuo non sia irretita dalle istituzioni o estenuata dalle derive sentimentali, non vi è altro da esercitare al mondo se non la propria incostanza e altro a cui rispondere se non la propria pulsione. Non una lacrima per ciò che non ci abbia procurato piacere. Di una singola donna ci serviremmo tanto meglio non amandola; nel giro di poche ore ci saremmo procurati da lei tutto quanto ci poteva allietare. Mentre da altri esseri potremmo ancora ottenere godimenti nuovi. Perché mai imprigionarsi a colei che può offrirvi sé stessa soltanto? Come perdere tempo con lo stesso oggetto, quando migliaia di altri ispirerebbero la nostra attenzione? Non è la donna che può soddisfare tutto un uomo, non è un’amante, non è l’amore. Sarà bene dunque allenare il cuore al disincanto e godere del maggior numero di corpi possibile. Non fanno così gli animali, che manifestano tutta la loro indifferenza una volta consumato il piacere dalle loro femmine? Se la storia avesse voluto condurci verso una partecipazione dei piaceri, avrebbe disposto creature adatte spontaneamente a condividerle, ma quel che vediamo dopo millenni, è l’esatto contrario. Distogliamoci dunque da tutto ciò che non inerisce il solo nostro corpo e da ogni sensazione verso tutto ciò che dal corpo ci appare separato. Questa debolezza di principi vi porterà a rimanere infantili, a non innalzarvi. Chi anela una coscienza, un sentimento, una moralità, anziché un impulso fisico, è soltanto un prete mancato.

F. – (Distesa con voce sfinita) Tu… Tu hai…

P. – La fanciulla si risveglia?

F. – (Prende forza e parla) …hai paura di Dio.

P. – Forse la fanciulla sta ancora sognando.

F. – (Tenta di alzarsi con incredibile sforzo) Con tutto quello che sei stato capace di farmi e dirmi… io resto ancora viva e tu ancora qui.

P. – Questione di tempo, amica.

F. – Questione di paura che il Dio che tanto sbeffeggi ti spunti alle spalle.

P. – (Infastidito) Non è con le idiozie che mi incoraggi a tenerti in vita più a lungo.

F. – Se davvero tu non avessi alcuna paura, sai cosa faresti? Lo sai?

P. – Cosa farei? Sentiamo.

P. – Mi uccideresti o mi lasceresti andare.

(Qualche minuto di silenzio fra i due, mentre rapidamente la luna si ricopre di nuvole e inizia a piovere.)

P. – Ebbene accetto la sfida, mia cara. L’accolgo come la tempesta che scende e sta già lavando via il tuo sangue e il mio peccato da questa strada. Ascolta la mia sfida. (La induce ad alzarsi insieme a lui e declama a voce alta e fiera) Se alla fine di queste mie parole un Dio presunto non mi avrà fulminato qui sul posto, allora ti lascerò libera e andrò a consegnarmi immediatamente alle autorità.

(La tempesta acquista forza e F., incredula, dopo alcuni secondi si allontana lentamente da P. e con le poche forze residue inizia a scappare.)

P. – (Grida) Sì, corri ora, fallo adesso o mai più! (Rivolge un dito verso l’alto) Io ti sto aspettando Dio. Sono qui.

(Il cielo si squarcia in un boato fragoroso. Ne scaturisce un accecante fulmine che colpisce F., all’incrocio delle cosce, trapassandola dal basso ventre. Schianta a terra.)

P. – (Si avvicina a osservare il cadavere folgorato e poi volge lo sguardo al cielo) Se tu esisti, allora sei fatto proprio come me!

(Fine del terzo e ultimo stupro).


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Una replica a “FemminiciDio / Dialogo in tre stupri”

  1. Avatar Stefania Nadalini
    Stefania Nadalini

    Quanta intensità, mi sprigiona sensazioni diverse

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