FemminiciDio / Dialogo in tre stupri

Una satiretta sadiana di Andrea Carloni

Un paese occidentale qualunque di un’epoca qualunque, in una notte invernale su di una stradina sterrata al di fuori di un borgo qualunque. Pressoché poco o nulla all’orizzonte verso i quattro punti cardinali, se non una piana incolta e poche dimore lontane ai pendii dei colli. Nessuna luce se non quella della luna quasi piena, nessun rumore se non quello dei rapaci notturni e delle voci dei personaggi: P. (uomo di mezza età, alto e robusto, di fiera postura) e F. (la sua vittima rapita, fanciulla avvenente e di media statura, appena ventenne). A lei, com’è d’uso, la prima parola. A lui, ne consegue, l’ultima.

Stupro II

P. – Non sei più così ciarliera. A qualcosa la fatica è stata utile.

F. – (Distesa, parlando a fatica) Dopo quello che mi hai fatto…

P. – Mi pento di non aver fatto di più, come mi ero pentito di non averlo farlo prima. Ma si fa quel che si può.

F. – Scellerato! Barbaro!

P. – Ti mostrerò come oltre ad agire, questo barbaro può anche efficacemente parlare. Adesso forse, esausta, mi ascolterai.

F. – Come puoi pensare che io sia disposta ad ascoltarti. Mi hai più che uccisa. Vattene via e lasciami morire, lurido mostr…!

P. – Stavi per dire “mostro”, dunque: stavi per identificarmi come un’eccezione, non più un sano erede dell’impero patriarcale.

F. – Non parlarmi, stupratore. Non posso sentire nulla da te. Sono distrutta e ho bisogno di aiuto! (Vorrebbe proseguire ma ha uno sbocco di sangue.)

P. – Io ho prima ascoltato te, sarebbe carino che ora tu…

F – (Con sdegno) Ascoltarti sarebbe peggio che sopportare lo stupro. È orribile come tu… (tenta di alzarsi, ma i dolori la trattengono. Tossisce.)

P. – Continua, te ne prego.

F. – …come tu sia stato capace di ogni turpe nefandezza verso un corpo indifeso e disperato (sputa ancora sangue dalla bocca) e trattenermi anche legata… non si può essere più vigliacchi!

P. – Se ti stupisce il vincolo è perché non sai. Quindi ora taci e lascia che ti spieghi. In fondo saprei bene come farti star zitta con le cattive.

F. – (Raccoglie ogni forza e si mette a urlare) Taci e slegami infame! Se ne hai il coraggio!

P. – Ammesso che qualcuno qui possa sentirti, sei tanto sicura che farebbe qualcosa? Rispondi a questo piuttosto.

F. – (Urla ancora con tutta la voce di cui risponde) Maledetto stupratore! Aiuto, mi ha stuprata!

P. – (Si mette a urlare assieme a lei) Aiutatela, l’ho stuprata. Soccorso! C’è una ragazza che è stata violentata da me!

(Restano entrambi alcuni istanti in silenzio. Si sentono solo i gemiti della ragazza e un cane abbaiare da lontano.)

P. – Lo capisci adesso, che nessuno qui farà mai nulla per te.

F. – Tu vorresti scamparla. Ma qualcuno arriverà, qualcuno saprà prima o poi (le escono lacrime dagli occhi.)

P. – Anche se tutti arrivassero e tutti sapessero, cara mia, a nessuno importerebbe. Non lo capisci? E se stai aspettando qualcuno di speciale, un Dio onnisciente e castigatore, a quanto pare è impegnato a fare altro.

(Si guardano per alcuni secondi con aria seria.)

P. – Ma ora basta con le tristi rassegnazioni. La domanda era perché ti ho legata. E la risposta è questa. Non è perché io potessi abusare più agevolmente di te: dispongo di forza a sufficienza per fare a meno di qualunque accessorio. Non è neppure per timore di una tua fuga: non avresti la forza di andare molto oltre questi cespugli qui intorno. La ragione vera è che con le mani raccolte dietro la schiena tu certo rassomigli a un pollo.

F. – Ti senti in diritto di umiliarmi oltre quanto tu non abbia già fatto?

P. – Ma vedi, in questo caso io fossi in te non la prenderei sul personale. Io ne faccio un discorso esteso, di genere, come usate dire. Infatti la donna per me è come un pollo.

F. – Un pollo… cosa mi toccherà sentire adesso…

P. – Sì, proprio un pollo, al pari di quello stesso animale che, salvo per alcuni angosciati allarmisti, nessuno si darebbe scrupoli a scannare per darne piacere al palato e nutrimento al corpo. Proprio come di un pollo della donna bisogna servirsi secondo volontà e non riservar alcuna pietà a lei come non la si riserva al pollo cui strizzeremo il collo. Maschio e femmina non si addicono reciprocamente e non possono procurarsi felicità se non nella sottomissione della più debole e nella rinuncia a ogni forma di pietà da parte del più forte. Più l’altra è sottomessa e infelice, più l’uno ne risulterà soddisfatto e felice. Di altre farneticazioni la natura non ci parla.

F. – Nei tuoi deliri sento solo tirannia e sofismi. Non ti rendi conto che questo tuo godimento non può che portare dolore a chi ne è vittima? Perché si dovrebbe temere una felicità rispettosa e responsabile, condivisa con tutti coloro che ne hanno una parte di diritto?

P. – Questioncine emotive sono le tue e, come le turbe morali che muovono le vostre contestazioni, poco lucide. Tanto da non accorgervi che chi vuol totalmente godere, non può che attirare a sé ogni cosa per ottenimento, non per donazione. Il piacere ricevuto da un beneficio accordato, consensuale, come lo definite voi, non è che morale, utile alle sole menti ignoranti e impaurite. Il piacere ottenuto da un beneficio estorto è del tutto fisico, dunque valido per tutti. Solo il godimento ricavato su di un essere non consenziente può essere totalizzante. Non tanto perché lo sperimenta solo chi lo ricava, ma perché questi giova di una voluttà moltiplicata dalla sensazione dell’incubo del succube che potrebbe goderne, ma non può. Il tuo “sì” sarà sempre vago, noioso e comunque fallace: non è dimostrabile la permanenza di quel consenso nel tempo e tanto meno in sede di giudizio. È piuttosto dal tuo “no” ostinato e categorico che si scatena ogni mia voluttà. Dunque nessun sofisma; tirannia invece, se utile ad aumentare il piacere, quanta ne vuoi.

F. – Il tuo pensiero è più turpe e cieco della tua stessa azione. Non ho mai incontrato una coscienza tanto dispersa, sorda a ogni umanità. Sei la somma di tutti i fallimenti della tua schiatta, sei un orribile…

P. – Dillo forza, dillo! Osa, osa! O non ti slegherò.

F. – Non dirò niente!

P. – Lo dirai invece o ti stuprerò ancora, fosse anche da morta!

F. – (Lancia un grido disperato e rabbioso) E allora uccidimi mostro, sì, uccidimi! Se non sai cos’altro pensare e fare di una donna, allora sarai il mostro che mi uccide!

P. – Un salto in avanti finalmente, ma corri troppo. Non lo farò subito, dovresti saperlo che vorrei tu morissi cento volte per mano mia, se solo la natura me lo consentisse. Ma è chiedere troppo e io sono creatura terrena. Se il tuo momento è uno, sarò io a decidere quando. Per ora ti slego come promesso, ma solo dai lacci e non dai tormenti.

(P. le libera i polsi poi la fa ricadere supina e le si getta sopra di peso. Esecuzione del secondo stupro.)


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Una replica a “FemminiciDio / Dialogo in tre stupri”

  1. Avatar Stefania Nadalini
    Stefania Nadalini

    Una lettura che mi angoscia

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