FemminiciDio / Dialogo in tre stupri. Una satiretta sadiana di Andrea Carloni.

Un paese occidentale qualunque di un’epoca qualunque, in una notte invernale su di una stradina sterrata al di fuori di un borgo qualunque. Pressoché poco o nulla all’orizzonte verso i quattro punti cardinali, se non una piana incolta e poche dimore lontane ai pendii dei colli. Nessuna luce se non quella della luna quasi piena, nessun rumore se non quello dei rapaci notturni e delle voci dei personaggi: P. (uomo di mezza età, alto e robusto, di fiera postura) e F. (la sua vittima rapita, avvenente e di media statura, appena ventenne). A lei, com’è d’uso, la prima parola. A lui, ne consegue, l’ultima.

Credits: L’Enlèvemente (Paul Cézanne)

Stupro I

F. – …per tutte le ragioni che ho finora spiegato, ti sei reso consapevole del male che rappresenti e che hai compiuto? Dunque ti sei pentito?

P. – Ebbene, mi pento.

F. – Allora mi lascerai andare, non minaccerai più me né altre? Soprattutto andrai incontro alle tue responsabilità? Ti costituirai oggi stesso alle autorità?

P. – Mi pare che non ci capiamo.

F. – A me pare di aver sentito dire dalla tua stessa bocca che ti sei pentito.

P. – E l’ho detto, ma tu hai frainteso.

F. – Cosa si può fraintendere in una frase tanto semplice.

P. – La ragione del pentimento.

F. – E quale ragione può esserci se non la propria colpa?

P. – Mi pento di essere rimasto ad ascoltarti per tutto questo tempo, qui al freddo per giunta, e non averti violentata subito alle prime tue proteste.

F. – Mi hai portata tu, qui al freddo, nel mezzo del nulla e contro la mia volontà. Come potevi pretendere che alle tue minacce io mi piegassi senza fiatare?

P. – Questo non lo avrei mia preteso. Ma avrei comunque dovuto tagliar corto: il tuo sermone mi è venuto a noia fin da subito.

F. – Dunque io parlavo e tu neppure mi ascoltavi.

P. – Oh, a dire il vero ti ho ascoltata centinaia di volte.

F. – Non mi sono mai ripetuta, mi pare.

P. – Lo hai fatto indirettamente. Hai riportato alla lettera le litanie che da decenni imperversano identiche a sé stesse. Tanto quanto le banalità che le compongono, anche i moralismi su cui poggiano rimangono i medesimi. Hai ripetuto difatti ciò che altre prima di te avevano ripetuto a loro volta. Altro non sei che una delle numerose dispensatrici di manifesti all’occorrenza.

F. – E tu ha mai pensato che questo discorso è ribattuto di continuo proprio per una continua esposizione di noi donne agli stessi pericoli, alle stesse sopraffazioni? Anche voi maschi, da qualche millennio a questa parte, non siete poi così fantasiosi nei vostri soprusi.

P. – Continua e reiterata è invece la vostra ansia che nutre sé stessa e vi fa abboccare a esche emotive gettate da chi va a caccia di debolezza e ignoranza. Invece di farvi studiare opportunamente, vi rassicura con una mano per trattenervi con l’altra, ricattandovi con la sensibilità per l’ambiente, la povertà, la guerra, le minoranze e, non ultima, la questione femminile. Terrorizzarne una per diseducarne cento.

F. – Cosa c’è di diseducativo nel riunirsi intorno a urgenze e impegni comuni, nel non sentirsi più sole? L’ansia e l’ignoranza sono invece il vostro modo di reagire alla nostra determinazione, alla nostra fame di rinnovamento, alla decostruzione della vostro predominio stantio che ancora difendete con le unghie e coi denti.

P. – Ogni decostruzione che inscena la vostra protesta, non è che uno schema della protesta medesima, una semplice autoconcessione che toglie ossigeno a quell’incendio che non riesce a divampare. Sento solo proclami che puzzano di apocalissi e rivelazioni. Scovate le angosce collettive, costruite le colpe e ve ne sobbarcate per risolverle in una visione di comune riscatto e rinascita… Non lo sentite anche voi, dal sottosuolo dei vostri goffi movimenti, un fetore appestante di palingenesi come neanche per l’intero Nuovo Testamento si avverte? Vi siete progettate un nemico diffuso, identificandolo ingegnosamente nel vostro oggetto di paura, catalizzandovi ogni responsabilità, non solo nelle azioni, ma anche nelle intenzioni: una responsabilità per tutti. Tutti chi? Responsabilità quali? Giudicate pensieri, parole e omissioni, peggio del vecchio Dio da cui vi credete affrancate. I vostri cortei non sono che processioni, le vostre proteste preghiere.

F. – Pensi che invece alienarsi dagli altri, annientare la loro considerazione, manifestarsi solo per superiorità e forza, sedare le contestazioni, violentare e uccidere i corpi, possa essere la via di liberazione?

P. – Non conosco alcuna libertà se non quella di dover rispondere a me stesso soltanto, al mio piacere e dispiacere. Non ho alcun peso del mondo da raccogliermi sulle spalle e non sussiste alcuna condanna e salvezza collettiva possibile. Siamo fatti di quella stessa natura le cui leggi non sono, per quel che ne diciate, sovvertibili. Potreste voi sovvertire l’universo? Al massimo brucereste un pagliericcio. L’unica verità è quella del più forte che avanza, del più adatto che si riproduce. Gli altri, nel migliore dei casi, si lasceranno guidare, e nei peggiori soverchiare. Sfido qualunque scienza a dimostrare il contrario e se questa è la tua, sappi che è ideologica, bigotta, inconsistente. Tanto vale tacere e stuprarti in santa pace e così sia.

F. – Come puoi avere una mente tanto barbara, mossa solo e nient’altro che dal tuo…

P. – Oh, finalmente la cosa si fa interessante.

F. – Ah, se sono le offese che ti occorrono, potrei averne tante a buon diritto da farti mettere comodo. Ma non è il mio modo di operare e con le offese non si può certo pensare di risolvere l’odio.

P. – Se sono inutili le offese verbali, allora resta che passare ai fatti.

(P. assesta un potente pugno potente all’altezza dello stomaco di F. la quale crolla a terra annaspando. La rovescia e si sfila la cintola che usa come legaccio per incrociarle i polsi dietro la schiena. Svolgimento del primo stupro.)


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Una replica a “FemminiciDio / Dialogo in tre stupri. Una satiretta sadiana di Andrea Carloni.”

  1. Avatar Stefania Nadalini
    Stefania Nadalini

    Descrizione pazzesca

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