Piero Toto e la silloge “tempo 4/4” – Intervista all’autore

Piero Toto è un poeta bilingue residente a Londra, dove lavora come traduttore dall’inglese e come senior lecturer in traduzione presso la London Metropolitan University, in cui si occupa di didattica della traduzione e svolge attività di ricerca in ambito LGBTQ+. Le sue poesie in lingua inglese sono apparse su riviste e blog letterari britannici e internazionali. In Italia si occupa di traduzione di poesia contemporanea dall’inglese all’italiano per Atelier e per Laboratori Poesia, e ha pubblicato tempo 4/4 per Transeuropa nel 2021. Di questa silloge, già segnalata al Premio Internazionale Mario Luzi, è qui a parlarci oggi con questa intervista che ha voluto gentilmente concedermi.

La tua raccolta di poesie si apre e si chiude con due poesie eponime tempo 4/4, che si distinguono fra loro per l’anno di composizione: 1996 la prima e 2020 l’ultima. Puoi raccontarci qualcosa della lunga evoluzione nel tempo di questo tuo libro?

tempo 4/4 è un’opera sostanzialmente circolare, come le strutture musicali [della house] a cui si ispira. È tendenzialmente simmetrica, sebbene vi siano al suo interno istanze di asimmetrie che ne rompono la funzione e il tessuto originari. La silloge di per sé ha avuto una gestazione molto lunga, nel senso che nasce effettivamente a metà degli anni ‘90 e rielabora un’appropriazione del tempo che insegue la suddetta circolarità, ottenuta poi con la sua pubblicazione. Le due poesie eponime scarnificano l’illusione dell’Altro partendo dalla natura interrelazionale della versione del ‘96 fino alla versione del 2020, che invece sancisce l’impossibilità di tale interrelazionarsi e la quasi rottura con l’esterno.

incastrato tra
spigoli di odio
e scampoli di tempo
m’arrendo
a un sogno
e libero di te
ciò che non sai
ciò che non sono:
di te
l’ultimo frammento

Fin da subito ci si accorge che la componente musicale nei tuoi versi assume un ruolo di co-dominanza assieme a quello del testo stesso. Non solo per il titolo tempo 4/4 ma anche per i numerosi riferimenti alla club e house music e ai luoghi stessi delle discoteche. Quanto è stato rilevante in questa opera il lavoro di ricerca nella commistione fra generi artistico-espressivi?

Sono poche o quasi inesistenti le opere che si ispirano a questo tipo di musica, normalmente relegata a funzioni di mero intrattenimento o di sottofondo.

A me interessava invece rivelarne il potenziale poetico e trasformare le ambientazioni/la sua genesi in modelli di fruizione tangibili, in qualcosa di utile alla parola poetica.

Ma l’utilizzo della house è solo un pretesto per poter introdurre temi più ampi. Personalmente mi affido molto all’intertestualità e all’ibridazione dei generi: mi aspetto che chi legge voglia o sappia cogliere i riferimenti che, come un moderno Pollicino, ho disseminato nei miei versi. Ciò si riflette anche nella frammentazione di alcuni miei testi, che a volte possono apparire interrotti, imprecisi, distratti ma che invece, proprio come la nostra capacità di concentrazione, ascolto e osservazione oggi, risentono di una continua sovrastimolazione. È impossibile sottrarsi al magma multimediale nel quale abitiamo. La silloge prende vita ulteriormente se accompagnata dalla playlist creata apposta sul mio canale Spotify. Sono due aspetti imprescindibili.

corpi srotolati
in siccità di sguardi
stanchi di sbraitare
il tuo tributo
e riverire 4/4
in battere

              in levare
sedotti qui
a farci raccontare

In epigrafe incontriamo una citazione dal racconto Un caso pietoso tratto da Gente di Dublino di James Joyce: “Non possiamo darci ad altri, gli diceva: ci apparteniamo sempre”. Sembrano frasi su cui si siano strutturate le tematiche dei tuoi testi, fra tutte la considerazione e la reciprocità fra esseri umani.

È così. Le epigrafi nelle mie opere rappresentano la chiave di lettura dei miei testi, oltre a rivelare le mie ossessioni, i modelli a cui mi ispiro o semplicemente i tributi che voglio offrire. Anche nella mia produzione inglese ricompare quella stessa citazione joyciana in una poesia sul coming out e sulla ricerca della propria identità. Una volta appreso chi siamo, si rivela la fragilità del mondo e della nostra stessa esistenza. Non rimane più alcuna soluzione.

tutto è
mentre ognuno pensa a sé
smancerie distratte
leccate da noiose solitudini
mentre insisto a chiederti:

cosa sono io per te?

La criticità dell’interazione umana non può prescindere dalle problematiche sul dialogo e la comunicazione. Nelle tue stesse poesie si indaga sul difetto di ascolto, sull’assenza dell’altro. In quali modalità si manifesta e si criticizza la poesia che nasce già privata del suo stesso interlocutore?

È un canto nel vuoto. Oggi sono tutti più interessati a parlare che non ad ascoltare, tutti hanno qualcosa da dire, tutti hanno la presunzione di saper dire, e per par condicio includo anche me stesso in questa collettività. Se presupponiamo che l’interlocutore debba essere necessariamente un io parlante, riduciamo la poesia a semplice scambio linguistico, privandola di quell’elemento fondamentale che invece rappresentano l’assenza, l’impronunciabile e il non dicibile di per sé. Più che di interlocutori, la poesia ha bisogno di illocuzioni.

queste menti
questi volti
queste malattie
covate nel non Verbo
prigione corrotta
dall’austero coraggio
di schiudere le labbra
scusando la voce
preludio di un futile io

Fra le prime pagine ci imbattiamo in una dichiarazione d’amore per il poeta Lawrence Ferlinghetti, esponente della Beat Generation noto per la sua verve dialettica contro i canoni e i dettami affermati dell’arte. Pensi che oggi la poesia possa raccogliere il lavoro dello scrittore statunitense, reinterpretando e reinventando l’attuale visione e rapporto con il reale?

La Beat Generation mi ha insegnato a giocare con la lingua, a non aver paura di trasformare tutto in potenziale poetico, e ad andare contro. In un mondo contemporaneo sempre più complesso e a volte imprevedibile, la poesia oggi deve saper affrontare e analizzare queste complessità, rimanendo un potente strumento di riflessione e di comprensione del mondo che ci circonda. Ma anche di alienazione dallo stesso. E gli editori devono saper cogliere queste sfide.

Lawrence oh Lawrence oh Lawrence
se non ti amo
che cosa scrivo a fare?

Nella sua espressione densa ed essenziale, la tua poesia lascia esposti i contenuti nella loro sensualità e vulnerabilità, sia quando la forma è più distesa e irregolare, come in swipe right, sia quando si chiude in strutture più ordinate, come noi settenari sciolti di dell’albero e del pero. Come si rapportano le tue composizioni con le forme della tradizione poetica del passato e con la tua personale esigenza di sperimentazione?

Da figlio della contemporaneità, in dell’albero e del pero contesto proprio le strutture eccessivamente ordinate e le forme maniacalmente ripulite da ogni irregolarità, accentuando quegli stessi aspetti attraverso le forme stesse che le contraddistinguono, attraverso il rifiuto di contenuti tradizionali, del descrittivismo di certa poesia nostrana, lasciando spazio invece alla sperimentazione. La parola scritta è solo il punto di arrivo, mai quello di partenza.

la falce del mattino
la sera e la novena
di canti antichi torti:
vi prego, siate morti

Un altro aspetto dell’indagine relazionale nella tua poesia sta nell’evidenza del corpo, della carnalità, del piacere. La letteratura, e l’arte in generale, riescono oggi a conservare una funzione creativa concreta in quella rivoluzione, ancora pienamente in corso, che è l’emancipazione sessuale?

Credo che il baricentro di queste funzioni, oggi, si sia spostato su altre forme di fruizione, ma per chi è rimasto in ascolto su arte e letteratura, la mia risposta è sì. C’è chi mi chiede se sia ancora necessario parlare di sesso e sessualità, se non siamo ormai in un’era “post”, se certe tematiche non siano state ormai sdoganate. Chi pone la domanda in genere è gente pigra, che non ha avuto la necessità o che non sente il bisogno di dover problematizzare la propria esistenza o la cui esistenza non è mai stata messa in discussione dall’establishment. Perché la carnalità e il piacere, che fanno parte dell’esperienza umana, passano ancora per temi “rivoluzionari” e parlare di morte – anch’essa un’esperienza umana – no? La nostra vera rivoluzione sarà estinguerci. Finché presenteremo la sessualità in termini di “questione” da dover affrontare, non avremo raggiunto alcuna emancipazione. tempo 4/4 si presenta come opera queer: chi l’ha scritta ha filtrato la propria visione del mondo attraverso questa lente esperienziale. Il queer contesta la sessuofobia terrorista dei nostri tempi, tra le altre cose. Non può esserci emancipazione sessuale senza emancipazione culturale e, nostro malgrado, ci troviamo in un’epoca in cui ci accontentiamo di grattare solo appena la superficie delle cose, illudendoci che questo costituisca il loro punto focale. La sovraesposizione dei corpi e la riduzione della sessualità a mera esposizione non rappresentano il “post-sessuale”. È un feticcio distrattore.

dove fuggono
le mie parole
quando lecco
la tua pelle
infastidita

Infine vorrei ci parlassi di un’altra istanza complessa che si affaccia fra le righe dei tuoi versi, ovvero quella dell’identità, dell’appartenenza e, conseguentemente, della lontananza e della separazione dalle proprie radici, la propria terra, la propria lingua, la propria casa.

Che cos’è casa? Cosa sono le radici? Gli affetti? La familiarità di un volto o di una strada? Un dar senso alla nostra esperienza terrena? È difficile parlarne quando tutto si affida all’aleatorietà. L’essermi sradicato dalla mia realtà geografica e culturale originaria mi ha rivelato il senso del dis-umano, la banalità dei confini geografici e le velleità politiche delle nazioni. In un’altra occasione ho parlato di “culto dell’assenza”, ovvero quell’equilibrio instabile che ci priva di riferimenti, che è sia causa che effetto del distacco e della dissoluzione dei confini identitari personali. La lingua – o, nel mio caso specifico, le lingue (inglese e italiano) – rimane quindi uno strumento essenziale per esprimere la complessità dell’identità diasporica.

su foglie polverose e verdi
di vita nuova strappate
alle radici del mondo
ti offri al sole di nuovi lamenti
contro gli assilli della discriminazione

Andrea Carloni


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2 risposte a “Piero Toto e la silloge “tempo 4/4” – Intervista all’autore”

  1. Avatar wwayne

    “Ci troviamo in un’epoca in cui ci accontentiamo di grattare solo appena la superficie delle cose, illudendoci che questo costituisca il loro punto focale”. Questa è una grande verità.

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  2. Avatar Stefania Nadalini
    Stefania Nadalini

    Una scrittura profonda

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